25 Giu Anniversario della morte del Fondatore Don Domenico Leonati
Padova 4 gennaio 2020
Anniversario della morte del Fondatore Don Domenico Leonati
Omelia di don Leonardo Scandellari
Nei suoi studi su don Domenico Leonati, don Guido Beltrame non manca mai di sottolineare una caratteristica dello stile pastorale del Fondatore. A volte lo riassume in una celebre espressione dell’Imitazione di Cristo: <<Ama nesciri>>; “cerca e sii felice”, potremmo parafrasare, “di rimanere ignorato, sconosciuto ai più; senza mai sollecitare l’attenzione degli altri su di te, così che tutti badino al valore di ciò che fai, non della tua persona”.
Ci vorrebbero ore, se volessimo ricordare tutte le conferme di questa raccomandazione nella Scrittura, fra i Padri della Chiesa e i grandi maestri dello spirito. Ci basta considerare che questo atteggiamento di don Domenico rispecchia il mistero che la liturgia ci sta facendo celebrare e meditare in queste settimane. Il Figlio di Dio, il Verbo eterno, raggiunge gli uomini facendosi carne, e nella carne umana – come sottolineava Pascal – si rivela ma allo stesso tempo si nasconde, si fa riconoscere da chi lo cerca ma allo stesso tempo rimane invisibile a chi lo respinge o pretende di trovare in lui ciò che il Cristo non è e non vuol essere. “Il Maestro parla al cuore”, si sente dire spesso. Ma nei cuori umani la sua presenza risuona senza parlare, senza rumore, senza costringere. Ci è più intimo di noi stessi, eppure non si confonde mai con ciò che noi siamo; posso dargli del «tu», ma non prenderlo per una parte di me. E così rimane un pur minimo spazio fra lui e ciascuno di noi: è lo spazio della nostra libertà, quello in cui si rende necessaria la nostra risposta e sta a noi compiere almeno quel breve passo verso di lui, che ha varcato una distanza infinita per giungere a noi. «Io sto alla porta e busso>», dice il Signore nell’Apocalisse (3,20): «se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, verrò da lui». Gesù non impone la sua presenza alla gente che incontra, e accetta anche i molti gesti di rifiuto che riceve. In questo modo invita i discepoli a seguirlo con una scelta personale, non perché trascinati dall’entusiasmo delle masse. A questo esempio si rifà don Leonati, e ce ne dà prova soprattutto nel modo in cui dapprima fonda e poi prepara il futuro dell’Istituto delle Vergini di Vanzo: limita rigorosamente il proprio ruolo, detta regole e consigli, segue la giovane comunità come consigliere e padre spirituale, ma evita di imporsi come direttore, di sostituirsi alle responsabili o alle maestre. Ci sono certamente anche delle ragioni pratiche. In questo modo le approvazioni necessarie da parte della Diocesi e della Santa Sede non dipendono dalla stima personale che di lui possono avere il Papa o il suo vescovo, ma dal valore della sua opera. Inoltre, la nascente congregazione viene meglio predisposta ad adattarsi, per quanto possibile, agli eventi e a situazioni sociali e storiche in rapido mutamento lungo quegli anni. Ma prima e alla base di questo, don Domenico ha operato una scelta su sé stesso, la scelta dell’ultimo posto, del meno appariscente e considerato. Come appunto il Signore e il Maestro. Anche questo, io credo, è uno dei modi in cui opera quella «sapienza» proclamata dalla liturgia di questa seconda domenica di Natale. E la sapienza che Dio ha inscritto nelle sue opere, e soprattutto nell’opera della nostra salvezza. L’Istituto nato dall’intuizione di don Leonati, al di là di tutte le sue realizzazioni concrete, è stato anch’esso voluto come opera che “salvasse” spiritualmente e umanamente l’esistenza di tante giovani in pericolo. Anche oggi e in futuro, con tutte le differenze del caso, la vita della Congregazione e delle singole religiose è destinata ad offrire salvezza e libertà. L’esempio del suo Fondatore potrebbe – e dovrebbe – guidarla in questo, lungo la sola via che porta lontano, la sola in cui lo Spirito di Dio trova spazio per agire con la libertà che l’umiltà del discepolo gli promette.