Verso la Pasqua con San Francesco di Sales
I domenica
Il Digiuno
Quaresima, tempo di ascesi spirituale, di cammino in salita che tutti vogliamo compiere, cammino faticoso, ma che sorprende e ripaga. «L’amarezza si muterà in dolcezza più che di miele»1, assicura il nostro Fondatore don Domenico Leonati. «È un cammino quaresimale e sinodale, fatto di ascolto della Parola di Dio e di ascolto reciproco».2
San Francesco di Sales ci offre un prezioso contributo per vivere bene questa quaresima che «[…] è come l’autunno, tempo utile per raccogliere frutti di grazia che dovranno servirci per tutto l’anno. Come viverla? Dedicandoci all’ascolto della Parola di Dio, nutrendoci di Eucaristia, digiunando, compiendo opere di misericordia, troncando futilità e chiacchiere, seminando parole di bene, diffondendo serenità, umiliandoci davanti a Dio, sospirando a Lui con brevi, frequenti e intense preghiere: accumuleremo tesori preziosi che nulla potrà mai guastare». «Preghiera, digiuno/penitenza, carità verso il prossimo sono i tre capi di quella fune che il nemico non può spezzare e con la quale possiamo incatenarlo con l’aiuto della grazia di Dio: la quaresima è il tempo propizio per intrecciare questa fune indistruttibile».
Il digiuno ci aiuta nel lavoro di purificazione e di liberazione. Digiuno non solo come privazione di cibo, ma disciplina del corpo e dell’anima. Umiltà e amore rendono il digiuno gradito a Dio. «La roccaforte del nemico si conquista per fame». Francesco di Sales ci invita a:
1. digiunare con tutto il cuore: volentieri, con generosità, senza riserve né calcoli, impegnando tutto il nostro essere. Facciamo digiunare:
– gli occhi perché non guardino in modo avido, geloso o egoistico persone e cose.
– le orecchie per impedire che si fermino ad ascoltare parole vuote e nocive.
– la bocca perché non dica parole di giudizio o che feriscono.
– la mente perché non si perda in pensieri vani, diffidenti, negativi.
– la volontà perché non insegua desideri inutili, che sciupano il cuore.
2. digiunare in spirito di umiltà e nella verità, senza mettersi in mostra per affermare la propria volontà: sarebbe un indebolire il corpo per ingrassare il cuore di amor proprio.
3. digiunare per amore, tenendo fisso lo sguardo su Cristo e il cuore aperto ai fratelli.
Raccoglieremo: nuova forza per vincere le tentazioni e le inclinazioni disordinate; nuova luce per vedere la presenza di Dio in tutte le cose; nuovo desiderio per compiere la sua volontà.
«Questo cuore dal quale vogliamo cominciare, ha bisogno di essere educato su come darsi una linea di condotta e di comportamento, […]. Il nemico quando si accorgerà che sappiamo digiunare, ci temerà di più».
1 Regole Leonati, Prefazione.
2 Papa Francesco, messaggio per la Quaresima 2023.
Cfr. OA XIII 144; VIII, 50-51; cfr. OA XI, 103; OA VII, 370; cfr. OA X, 181 ss: Sermone per il mercoledì delle ceneri del 1622; OA XIX, 103ss: lettera dell’11 febbraio 1620; Introduzione alla vita devota, III, 23.
II domenica
La preghiera
Il secondo capo di quella fune di cui abbiamo parlato è la preghiera. La quaresima è tempo propizio per pregare di più e meglio. La preghiera avviene nel cuore. Cuore, per S. Francesco di Sales, non è solo sentimento, ma anche intelletto, coscienza e volontà che decide e ama. La preghiera è un dialogo, una conversazione, un intrattenersi con Dio, quindi è necessario mettersi alla sua presenza, farsi attenti, accoglienti, parlare e ascoltare. Preghiamo per unirci a Dio, per chiedere il suo aiuto, il suo perdono e il coraggio di essere fedeli… Con la preghiera ci mettiamo in collegamento con Dio in un atteggiamento di attenzione e di rispetto. È utile meditare sulla vita, le parole e la passione del Signore. Contemplando spesso Gesù, il cuore si riempie di lui e un po’ alla volta, il suo modo di agire diventerà il nostro. Come i bambini ascoltando la mamma imparano a parlare la sua stessa lingua, così noi, con il suo aiuto, impariamo a parlare, volere e agire come lui. La preghiera ci trasforma e accompagna ogni passo della nostra giornata riempiendoci di pace e di fiducia. S. Francesco di Sales ci suggerisce di avere dei punti fissi per la preghiera: di pregare al risveglio per ringraziare il Padre per il riposo della notte e mettere nelle sue mani la giornata, chiedendogli di guidare i nostri passi e quelli delle persone che amiamo. Di pregare alla sera con una rapida revisione della giornata presentandola a Dio per chiedergli perdono per quanto è stato difettoso e ringraziandolo per ciò che abbiamo potuto fare di bene. È il momento di affidare al Signore la nostra vita e la vita di quanti amiamo perché egli la custodisca. Prendendo queste abitudini, ci verrà spontaneo, anche durante le occupazioni del giorno, rivolgerci a lui con brevi invocazioni, o pensieri perché il Signore è presente ovunque, ma soprattutto nel nostro cuore. In questo modo la preghiera diviene come una musica di sottofondo che ci accompagna e, senza che ce ne accorgiamo, semina serenità e pace in noi e attorno a noi. Se ci riesce, è utile trovare un tempo da dedicare alla lettura e alla meditazione della parola di Dio per crescere nella vita di fede e sperimentare la sua presenza e la sua bontà.
Cfr. TAD VI,1; IVD II, 1
III domenica
L’amore fraterno
L’amore fraterno è il terzo capo di quella fune indistruttibile capace di legare il nemico. L’amore di Dio ci porta ad amare gli altri e questo uscire da sé è l’estasi della vita e delle opere. Anche Dio esce da sé fino a nascondersi in un pezzo di pane nell’Ostia consacrata per adattarsi a nostra misura. L’uomo è il paradiso di Dio. C’è qualcosa di eterno nell’uomo; ognuno di noi è portatore di un mistero che lo supera. S. Francesco ci Spinge ad amare Dio nell’alto. Dio sa cosa c’è nel nostro cuore e lo adora. La carità fraterna si esprime con gesti concreti, espressione della misericordia divina, nobile sentimento di compassione e di tenerezza verso l’altro. Amiamo Dio nell’uomo e l’uomo in Dio. Amiamo in modo cordiale, umile, discreto, preferendo il prossimo a noi stessi. Dio infonde in noi il suo amore che ci rende capaci di amare; è come la scala di Giacobbe che unisce cielo e terra. Dovremmo esercitarci a vedere il prossimo in Dio, per non correre il rischio di non amarlo. È un esercizio che ci rende dolce amare anche coloro verso i quali possiamo provare antipatia o ci sono motivo di pena. È sempre utile praticare la dolcezza, senza voler prenderci la rivincita.
Cfr. TAD X,11; Lettere: OA XII, 269-270; XIII,92; XVII, 213-214; XXI, 145.176.
IV domenica
La gioia
La gioia già a livello naturale nasce dal possesso di un bene desiderato. Nell’universo della grazia la gioia è un frutto dello Spirito Santo che vive in noi dal momento del nostro battesimo. Noi dunque possiamo essere nella gioia perché Dio ci ama e donandoci il suo Spirito ha infuso in noi la sua stessa gioia. Egli, buono verso tutti, si è fatto tutto nostro; in ogni momento e ovunque lo possiamo trovare, sempre pronto a offrirci sostegno e conforto. Qui sta il fondamento, il motivo e la sorgente della gioia cristiana. Gesù ci ama, vuole per noi il bene, si è dato tutto a noi. Anche se le tempeste e le tenebre si abbattono sulla nostra vita, possiamo restare sereni: Egli è con noi e finché ci solleva, non abbiamo motivo di temere, non affogheremo. La gioia cristiana non è quella contentezza che si prova quando le cose vanno bene, né quel buonumore che viene dal sentirsi in forma, neppure quella che dipende dal carattere. La gioia cristiana è santa, mite, dolce, caritatevole e modesta. Vive anche in mezzo alle tribolazioni perché la sua radice è in Dio. Nemmeno la considerazione della nostra miseria può farci perdere la gioia perché, se presentata a Dio, è un buon campo di lavoro per la sua misericordia. La considerazione della nostra povertà, è motivo di una gioia umile, costante e tranquilla. Teniamo il nostro cuore al largo; se l’amore di Dio è il nostro primo desidero e la sua gloria è la nostra aspirazione, possiamo vivere pieni di coraggio e con gioia, anche nelle avversità. Se facciamo la sua volontà con gioia, possiamo essere certi che amiamo Dio. Questo spirito diffuso con equilibrio sui nostri atti e sulle nostre parole, procurerà consolazione alle persone che vivono con noi, cosa che deve essere il nostro profondo desiderio. Nemica della gioia non è la sofferenza, ma la tristezza. È una tentazione del nemico che vuole distoglierci e allontanarci da Dio. La tristezza turba l’anima, la rende pigra, indolente, la scoraggia, le toglie energia e coraggio, la priva di ogni bellezza, genera inquietudine, amarezza, e ci rende inerti nel bene. È come un inverno che agghiaccia l’anima, ne brucia i germogli di vita e le impedisce di fiorire. Per vincere la tristezza possiamo compiere atti di fervore, anche se non sentiamo lo slancio del cuore, ricorrere alla preghiera e ai sacramenti e a un pizzico di sano umorismo che ci fa prendere le distanze da noi stessi, sdrammatizza e ci aiuta a riportare nell’anima la gioia semplice e fiduciosa dei figli di un Dio buono, dolce e amabile. Di che cosa dovrebbe rattristarsi chi si è posto a servizio di colui che sarà la nostra gioia per sempre?
Cfr. TAD I, 3.4; XI, 21; IVD IV, 12; Lettere: OA XIII, 14. 193. 364; XVIII, 314
V domenica
Redenti nel sangue di Cristo
L’uomo è creato da Dio per vivere nella sua grazia, in una risposta libera di amore. Abusando della libertà, l’uomo diviene schiavo di se stesso. Dio però non lo abbandona, lo soccorre con la redenzione che è un dono d’amore ancora più grande della creazione. La redenzione è un dono immenso, gratuito, definitivo, abbondante, traboccante ed eccedente, tanto da non poter mai essere esaurito. Tutti, e in tutti i tempi possono attingere la salvezza. Prendendo coscienza di questo dono e vivendo con fedeltà e coerenza la nostra una vita cristiana, siamo sostenuti dalla grazia, dalla fiducia nella misericordia di Dio che ci solleva e ci dona sempre il coraggio di rialzarci quando cadiamo. Il sacramento della riconciliazione è il grande mezzo con il quale possiamo riappropriarci della Grazia, qualora la dovessimo perdere. Non possiamo lasciarci morire nello spirito, dal momento che abbiamo a disposizione un rimedio sicuro.
Le nostre inclinazioni non buone e le abitudini che ci portano alla mediocrità, pur non essendo (a volte) peccati, sono spine che guastano il nostro cuore. Se consegnate alla misericordia di Dio nella confessione, diventano ‘rose’, cioè occasioni per avanzare nella via del santo amore. Sperimentiamo così la forza della redenzione che è come la scala vista in sogno da Giacobbe: dal lato della terra è infissa nel cuore trafitto di Gesù e, in alto, giunge nel cuore del Padre.
Cfr.: TAD 2,4; 3,5; IVD II, 19; Lettere: OA XIII, 104. 216
Domenica delle Palme
Le parole di Gesù crocifisso
Il Figlio di Dio muore sulla croce: chi ve lo ha messo? Certamente l’amore. Il Signore muore per amore, nell’amore e d’amore. Ascoltiamo con il cuore le Sue ultime parole.
Padre perdona loro: questa è una preghiera per scusare l’ignoranza e la debolezza dei crocifissori. Il Signore vuole farci comprendere che l’amore non può essere diminuito da alcuna sofferenza.
Oggi sarai con me in paradiso: con queste parole Gesù si mostra Redentore. Sono parole che spingono alla certezza del perdono, se riconosciamo con umiltà il nostro peccato.
Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre: sono parole di consolazione. Maria è lì, ai piedi della croce, in totale adesione al disegno divino. Gesù lascia alla madre il discepolo prediletto, e in lui, tutti noi.
Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato: è grido di sofferenza di Gesù, una sofferenza presente anche in tanti nostri fratelli.
Ho sete: è un lamento per l’arsura che gli consumava i polmoni, ma anche per il desiderio bruciante di donarci la salvezza.
Tutto è compiuto: nulla è rimasto da fare, tutto è stato fatto. Quanto saremo felici se al termine della nostra vita potremo dire anche noi: “ho dato il meglio di me, ho dato tutto!”
Padre, nelle tue mani affido il mio spirito: è il perfetto abbandono del Figlio nel Padre. La vita spirituale sta tutta qui, nel completo abbandono in Dio.
Il Calvario è il monte degli amanti: non è possibile avere la vita senza l’amore, né l’amore senza la morte del Redentore. La sapienza cristiana consiste nello scegliere bene.
Cfr. OA IX,266 ss; OA VII,11; OA X,360 ss; TAD VII,8; XII,13; XII,13.
SETTIMANA SANTA
Il Figlio di Dio muore sulla croce: chi ve lo ha messo? Certamente l’amore. La Settimana santa ci conduce a contemplare il Figlio di Dio che muore per amore, nell’amore e d’amore per noi. La passione e la morte del Signore sono il motivo più dolce e più forte che incita i nostri cuori ad amare. Con gratitudine contempliamo il mistero dell’Amore infinito. I giorni della Settimana santa sono un’occasione di grazia per ascoltare, in un profondo silenzio, la passione del Signore e rispecchiarci in essa contemplando l’immenso amore di Dio per ciascuno di noi. La Chiesa ci accompagna; lasciamoci condurre facendoci anche noi dono nelle varie situazioni quotidiane.
SANTA PASQUA
Pace a voi!
Fa’, o buon Gesù, che accogliamo la pace che tu, risorto, ci doni e contemplando le tue ferite gloriose vi leggiamo il tuo immenso amore per noi. (S. Francesco di Sales)
Giunga a tutti il nostro fraterno augurio di una serena e Santa Pasqua. Contempliamo la risurrezione che Cristo ci dona e che continuamente germoglia regalando Vita in noi e attorno a noi. Assicuriamo la nostra preghiera per tutti e per ciascuno.
Buona Pasqua!