Avvento con S. Francesco di Sales

Come vivere bene l’Avvento?
Seguendo quanto ci consiglia la Chiesa: innanzitutto conviene mettersi e restare accanto a Maria, lei che più di ogni altro conosce il segreto dell’avvento. Da lei impariamo che per incontrare il Signore che discende fino a noi nella carne, dobbiamo anche noi scendere con l’umiltà, far morire le opere delle tenebre ed essere forti e operosi nel bene.
Il Signore viene, il cuore lo desidera, per questo resta in vigilante attesa, compiendo in ogni attimo ciò che gli è gradito. Quando arriverà, ci sarà spazio solo per la gioia dell’incontro.
In ogni istante è racchiuso il germe dell’eternità. Viviamo dunque con animo tranquillo e fiducioso, pieno di speranza e di vibrante di desiderio, affidandoci alla Provvidenza divina, senza chiederle nulla e senza rifiutarle nulla, certi che si prenderà cura di noi.

Cfr.: OA VIII, 59 passim (da frammenti di Sermoni per la prima domenica di avvento 1609, 1610);
OA X, 324 ss (Sermone del 10 marzo 1622);
OA XIV, 366.


Sr Mariagrazia, monaca della Visitazione.

Prima domenica di Avvento con FdS

Come vivere bene l’Avvento? Seguendo quanto ci consiglia la Chiesa: innanzitutto conviene mettersi e restare accanto a Maria, lei che più di ogni altro conosce il segreto dell’avvento. Da lei impareremo che per incontrare il Cristo che discende fino a noi nella carne dobbiamo anche noi scendere con l’umiltà, cioè metterci nella nostra verità, e avvolgerci nel mantello di una santa penitenza che faccia morire le opere delle tenebre  accecamento, infedeltà e ignoranza  e ci renda forti e operosi nel bene.
Ancora, la Chiesa presentandoci in questo inizio dell’Avvento il quadro degli ultimi tempi, quando il Signore verrà sulle nubi del cielo a giudicare ogni uomo e questo mondo avrà fine, non vuole spaventarci ma insegnarci il santo timore che è principio di sapienza, apre alla speranza e di-spone l’anima alla carità. Non si tratta del timore dello schiavo che ha paura del castigo, ma del timore della sposa che teme di dispiacere allo sposo. Lo schiavo teme che arrivi il padrone. La sposa, invece, desidera il ritorno del suo Signore, per questo resta in vigilante attesa, compiendo istante per istante ciò che sa essergli gradito… così che quando lui arriverà ci sarà spazio solo per la gioia dell’incontro d’amore.
Ora, ben prima della fine del mondo, per ciascuno di noi la morte porrà fine a questa vita terrena e ci porterà davanti al volto del Signore. Può essere utile in questo inizio di Avvento riflettere su questa realtà. I santi padri insegnavano che bisogna temere la morte senza temerla. Temerla, sì, ma senza ansia e inquietudine, sapendo che ‘per morire bene basta vivere bene’. Possiamo vivere ogni istante come vorremmo essere trovati nell’ultimo, in ogni istante infatti è racchiuso il germe dell’eternità, ed è il nostro passo quotidiano che decide dell’ultimo passo.
Viviamo dunque in un santo timore, tranquillo e fiducioso, pieno di speranza e vibrante di desiderio, affidandoci alla divina Provvidenza, senza chiederle nulla e senza rifiutarle nulla, certi che si prenderà cura di noi. A noi basti essere tutti suoi, per amore.
Cfr.: OA VIII, 59 passim (da frammenti di Sermoni per la prima domenica di avvento 1609, 1610);
OA X, 324 ss (Sermone del 10 marzo 1622);
OA XIV, 366.

 

 

 

 

Sr Mariagrazia, monaca della Visitazione.

Seconda domenica di Avvento con FdS

“Convertitevi perché il regno di Dio è vicino”: poiché è vicino che cosa dobbiamo fare per prepararci a questo evento? Ce lo insegna Giovanni Battista con il suo annuncio: “Fate penitenza”. Questa è davvero la migliore disposizione per prepararci alla venuta del Salvatore e tutti dobbiamo passare attraverso la penitenza perché tutti siamo peccatori.
Fare penitenza: in concreto che cosa significa? È ancora Giovanni Battista che ce lo insegna: “Spianate il cammino del Signore, riempite le buche, abbassate le alture, raddrizzate i sentieri”.
Le buche che il Battista ci invita a colmare sono quelle che scava nei nostri cuori un timore eccessivo e diffidente dei giudizi di Dio portandoci allo scoraggiamento di fronte ai nostri peccati e alle nostre fragilità. Colmiamo queste buche quando riempiamo i nostri cuori di umile fiducia e di speranza al pensiero della misericordia di Dio e del dono della sua salvezza. Temiamo, dunque, ma con speranza, perché un timore senza speranza diventa disperazione, e una speranza senza timore è presunzione.
Orgoglio, superbia e presunzione sono le alture che dobbiamo abbassare se vogliamo incontrare veramente il Signore che viene. Egli che è disceso dal trono della sua gloria e si è abbassato fino a noi, è lo stesso che “abbatte i superbi”, ama invece chinarsi sui piccoli, colmarli di grazia e attirarli a sé. Davanti a lui non serve vantare titoli di onore o di merito, perché egli penetra nel profondo del cuore e ne snida ogni forma di orgoglio (cfr. la parabola del fariseo e del pubblicano in Lc 18,9-14).
I sentieri contorti e attorcigliati affaticano e portano fuori strada i viandanti: occorre dunque raddrizzarli e spianarli per la venuta del Signore. Fuori di metafora, occorre raddrizzare tante nostre intenzioni non rette e non buone, per averne una sola: quella di piacere a Dio, compiendo la sua volontà e facendo morire in noi tutto ciò che gli dispiace. Piacere a Dio è lo scopo da avere di mira in ogni situazione, come il marinaio che, durante la navigazione, ha l’occhio alla bussola e il timoniere che tiene la mano sul timone per non perdere la rotta buona. Raddrizzare i sentieri è anche lavorare su noi stessi per giungere a mortificare passioni e inclinazioni sregolate, vincere l’incostanza e arrivare alla uguaglianza di umore, virtù così importante nella vita spirituale e nei rapporti con gli altri.
Per fare tutto ciò mettiamoci alla scuola di Giovanni Battista.

(cfr. OA IX, 442 ss: Sermone del 20.12.1620)

 

 

 

 

Sr Mariagrazia, monaca della Visitazione.

Terza domenica di Avvento – domenica Gaudete – con FdS

Questa terza domenica di Avvento da antica tradizione liturgica è chiamate domenica Gaudete dalla prima parola dell’antifona di ingresso tratta dalla lettera ai Filippesi (4,4).
Gioite! Ma si può comandare la gioia? Certamente può farlo solo Colui che è il Dio di gioia, il nostro Dio, il solo che ci offre i motivi per una gioia che non delude e duri per sempre. E il primo, fondamentale motivo è quello che tutta la liturgia dell’Avvento ci ricorda: Egli viene, viene a portarci salvezza, ci viene incontro sempre per primo offrendoci la sua grazia. La gioia è Dio stesso che si dona liberamente a noi, non per qualche nostro merito, ma mosso esclusivamente dall’ecces­so del suo amore per noi, come ci è dato contemplare in questo Avvento: noi possiamo gioire perché il Signore è vicino.
Tutti desideriamo e cerchiamo la gioia. Ma accade di attendersi la gioia da cose che non la possono dare. C’è chi la cerca nelle ricchezze: resta non solo deluso, ma con l’animo pieno di angustia e di amarezza. Chi pensa che la felicità si trovi nel piacere non la troverà affatto: il suo cuore ne resterà avvilito e vuoto. Altri ancora credono di trovarla nel successo, nel far carriera, nell’occupare posti di potere, ma nemmeno su questa via si incontra la gioia, vi si trovano invece mille inquietudini e affanni che tolgono il riposo. La gioia cui ci invita questa domenica di Avvento non è quella che sbandiera il mondo, chiassosa, frivola, che dissipa il cuore e finisce con lo stordire la mente e per lasciare dietro di sé amarezza e detriti. Non è neppure quel sentimento di euforia o di benessere che può coglierci quando siamo in forma o le cose ci vanno bene. È la gioia, frutto dello Spirito, quella che germoglia dalle virtù di fede, speranza, carità: ne è come il fiore che manifesta la loro vitalità e bellezza. Gioia che dà consolazione interiore e pace, che alimenta la pazienza nelle avversità, che ci rende cordiali e benevoli, attenti e premurosi verso il prossimo.  Questa gioia sostiene il coraggio e la perseveranza nel bene, rende dolce la penitenza, aiuta a sopportare gli altri e a essere condiscendenti e miti. In una parola questa gioia è il sigillo della vera devozione e fa sì che tutta la nostra persona sia impegnata interiormente ed esteriormente nel santo amore.
La via su cui sboccia la gioia che non delude è quella del conformare man mano la nostra volontà a quella di Dio, dell’aderire e affidarsi a Lui. E il contrario di tale gioia non è il dolore, ma l’essere senza carità, il vivere fuori dalla grazia di Dio.

Cfr TAD XI, 19; OA XIII, 16, passim; OA X, 18 ss


Sr Mariagrazia, monaca della Visitazione.

Quarta domenica di Avvento con FdS

Come canta la Chiesa, san Giuseppe è l’uomo giusto per eccellenza. Giusto infatti, nel senso che dà la Scrittura a questo aggettivo, è essere perfettamente unito alla volontà di Dio, essere conformi ad essa in ogni situazione, sia favorevole che avversa. E quanto doveva essere buono e giusto Giuseppe tanto che Dio poté affidargli il suo proprio Figlio e la sua santissima Madre!
Guardiamo ciò che di lui ci dicono i vangeli e vediamo che davvero egli fu in ogni circostanza obbediente e consegnato alla volontà del Padre.
Non hanno ancora iniziato a vivere insieme e vede la sposa già incinta, non può dubitare della lealtà e fedeltà di lei, che fare? La legge parla chiaro al riguardo, ma egli avverte qualcosa che lo supera e non è in grado di comprendere, è disposto a tirarsi indietro: se Dio è misteriosamente all’opera, egli nella sua grande umiltà si sente indegno di stare vicino a Maria. Vive un profondo tormento interiore finché Dio manda il suo angelo che gli annuncia il mistero che si sta compiendo in Maria e gli chiede di entrare, parte attiva, nel piano della salvezza. Parole chiare e misteriose insieme. Giuseppe  le accoglie e obbedisce, la sua umiltà diventa generosa prontezza. Non fa domande, non chiede spiegazioni o garanzie. Si mette disponibile a un piano i cui contorni gli sfuggono, si fida di Colui che lo chiama. E così sarà ad ogni svolta del cammino tracciato dal Padre di cui lui, modesto carpentiere di Nazaret, incarna i tratti della paternità più premurosa e delicata.
Lo vedremo a Betlemme mentre cerca un alloggio per la sua giovane sposa che sta per partorire. Proprio a Betlemme, la città dei suoi antenati, trova rifiuto e porte chiuse, eppure egli non protesta, non fa rimostranze facendo valere i suoi diritti e la sua dignità, ma molto semplicemente, con incomparabile dolcezza, accetta rifiuti e chiusure, anticipando quella mitezza che splenderà nella vita di suo Figlio. Lo vedremo fuggire da Betlemme sollecitato da un comando dell’angelo, pronto a partire e a tornare a un cenno divino. Affidando sé e i suoi due tesori alla provvidenza, e insieme mettendosi interamente a loro servizio. Ancora lo troveremo a Nazaret mentre procura il cibo con il duro lavoro delle sue mani a Colui che nutre gli uccelli del cielo… silenzioso, povero, modesto. Lui, salvatore del Salvatore.
Quante cose possiamo imparare per la nostra vita contemplando questo caro Santo. Ci insegna la semplicità, la prontezza nell’obbedire e la fiducia in Dio. Soprattutto ci mostra come “dobbiamo imbarcarci sulla barca della divina Provvidenza senza pane biscotto, senza remi, senza vele, senza provviste di alcun genere, e lasciare tutta la cura di noi stessi al Signore, senza repliche né alcun timore di ciò che ci potrebbe accadere”.
Il nostro cuore ama questo Santo benedetto perché ha nutrito Colui che è l’amore del nostro cuore. Lui che tante volte ha coccolato il Bambino Gesù e l’ha cullato tra le sue braccia, Lui che ha nutrito Colui che è la nostra vita, ci ottenga una grande pace interiore per progredire nell’amore verso il nostro Redentore.

Cfr OA VI, TS 3°, 47 passim, TS 19°, 378 passim; XV, 33; XXVI, 373


Sr Mariagrazia, monaca della Visitazione.