Fondatore delle Suore di S. Francesco di Sales don Domenico Leonati

1. Il brano del vangelo che la liturgia propone oggi alla nostra meditazione racconta l’incontro dei primi discepoli con Gesù. I discepoli non avrebbero seguito Gesù se Giovanni il Battista non lo avesse indicato loro: “Ecco l’agnello di Dio”. Allo stesso modo Simon Pietro non avrebbe incontrato e conosciuto Gesù, se Andrea suo fratello non gli avesse detto: “Abbiamo incontrato il Messia”, e lo avesse condotto a lui. Neppure Natanaele non avrebbe incontrato Gesù, se Filippo non lo avesse invitato: “Vieni e vedi”.
Nella sua libertà di azione il Signore usa mille modi per farsi incontrare e conoscere da noi. Immagino che la maggior parte di noi possa tranquillamente dire di essere stato condotto a Gesù per aver incontrato un testimone o dei testimoni: i genitori, un sacerdote, una religiosa, un amico o un’amica. Così il Signore continua ad incontrarci nel mistero della sua incarnazione. Non diciamo forse che la Chiesa è il corpo di Cristo? Che senso avrebbe il dirlo se non avessimo la passione di rendere visibile Gesù nell’oggi attraverso il suo corpo che è la Chiesa?
Ricordiamo don Domenico, il Fondatore, e lo vorremmo celebrare come Beato e Santo, ma chi è il Fondatore se non un testimone che indica Gesù e invita a seguirlo?
Per affrontare la realtà delle ragazze abbandonate a se stesse a Ponte di Brenta, «don Domenico concepisce l’idea di un Conservatorio, una nuova istituzione destinata a “raccogliere miserabili fanciulle”, come egli stesso scriverà in una Memoria autobiografica e di intenti del 1779, “per toglierle dall’ignoranza circa la nostra santa Religione, e dall’ozio, facendole assistere da maestre di molta probità”» (don L. Scandellari, profilo inedito). La passione per l’umano non è disgiunta dalla conoscenza di Colui che è via, verità e vita. È lo stesso sguardo di Gesù verso i discepoli: “Che cosa cercate?”; sguardo di chi, avendo visto, rende testimonianza e continua a dare corpo, a rendere possibile l’incontro.

2. “Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui…”. Perché l’incontro sia reale e provochi una conoscenza-esperienza, non è sufficiente un contatto superficiale, non è sufficiente averne sentito parlare, non basta una conoscenza teorica, per quanto esatta dal punto di vista dottrinale, è necessario rimanere in lui come i tralci uniti alla vite.
Per il credente, il rimanere in lui si snoda lungo tutta l’esistenza, sia nel duplice atteggiamento dell’apertura alla Grazia che il Signore misericordioso mai fa mancare, poiché è lui che ci attira a sé; che nel concreto e quotidiano impegno personale. “Preoccupazione costante per un maestro di spirito come lui – leggiamo ancora nel profilo di don Domenico tratteggiato da don Leonardo – esortare sia i chierici, sia le discepole del suo istituto, ad una vita cristiana attiva, ma sempre fondata sull’amore di Dio”.
Ricordiamo qui le parole del Signore: “Dove è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore”. (Mt 6,21). La domanda che ciascuno di noi è chiamato a farsi, è di conseguenza una sola: dove dimora il mio cuore? A chi o a cosa sono affezionato? Cosa mi rattristerebbe se venissi a perderne il possesso? Il nostro cuore dimora esattamente lì dove io do risposta a queste domande. Nel quotidiano combattimento spirituale e sempre sorretti dalla grazia di Dio, siamo chiamati non solo ad abbandonare il peccato, ma a seguire ed imitare Gesù facendo nostri i suoi atteggiamenti filiali di povertà, castità e obbedienza, per un amore sempre più perfetto, verso Dio e il prossimo.
Infatti, “Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello”, ci ha avvertito l’apostolo Giovanni nella prima lettura. Non si tratta qui dividere le persone in categorie (buoni e cattivi), ma di essere avvertiti noi, poiché il pericolo di lasciare che venga soffocato il germe divino che è stato seminato in noi, è sempre alle porte.

3. Don Domenico, infine, è un sacerdote diocesano, della nostra diocesi di Padova. Madre Paola ha sottolineato questo aspetto nella lettera indirizzata al Vescovo per perorare la causa di beatificazione. La figura di sacerdote diocesano in don Domenico emerge dallo stretto legame di comunione che ha tenuto con i vescovi e tutta la sua attività nelle parrocchie e nel Seminario diocesano. Ma ciò che desidero sottolineare, richiamando questo aspetto, è il valore dello stretto legame esistente tra l’Istituto delle Salesie fondato da don Domenico e la realtà e la vita della Chiesa particolare, non solo quella di Padova, ma anche di tutte quelle Chiese particolari dove l’istituto è presente.
Ogni carisma di vita consacrata appartiene alla vita e alla santità della Chiesa e come tale appartiene al tessuto di ciascuna Chiesa particolare in cui è inserito. La relazione tra Istituti di Vita Consacrata e Diocesi, è un tema dibattuto, è un aspetto della vita della Chiesa che chiede un progresso di maturazione da entrambe le parti. È atteso un documento pontificio sull’argomento, anche se siamo consapevoli che i documenti non cambiano la mentalità delle persone in un batter d’occhio.
Considerare che un sacerdote diocesano ha pensato ad un istituto di vita consacrata (e non è l’unico caso nella storia della Chiesa), porta a capire che i doni suscitati dallo Spirito sono per l’edificazione di tutto il corpo di Cristo e pertanto è imprescindibile il dovere di crescere nella consapevolezza della reciproca appartenenza, nel rispetto dei carismi e delle esigenze della vita della comunità cristiana. Per questo dobbiamo pregare affinché il nostro cuore e la nostra mente siano aperti alla voce dello Spirito.

4. In sintesi: in don Domenico Fondatore contempliamo: la bellezza di una testimonianza che attrae: “Vieni e vedi”; la fedeltà nel dimorare in Gesù (“da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”); l’appartenenza all’unica Chiesa di Cristo, suo mistico corpo.
«Alle sue figlie spirituali – scrive ancora don Leonardo – e alla comunità di Ponte di Brenta, Leonati raccomanda instancabilmente d’intrattenere con la Madre di Dio un rapporto di sincero amore filiale, con tutta la confidenza possibile per colei che può e vuole accompagnare ogni singolo passo del cammino alla sequela di Cristo».
Anche noi ci affidiamo con filiale fiducia alla Madre di Dio.

Omelia di don Tiziano Vanzetto