
12 Ott Un bene nascosto: il Leonati
C’è una realtà collocata fuori dal mondo, fuori dal tempo, fuori da tutto e radicata nel cuore dell’uomo: è il bene. Un bene che si manifesta in gesti di attenzione e di amore, specialmente verso i più deboli, i più fragili. Basta che apriamo gli occhi sul volontariato e sulla solidarietà suscitata dall’emergenza della pandemia per rendersene conto! Il bene che abbiamo nel cuore è capace di mettersi in gioco, di farsi attento ai bisogni dell’altro, di farsi dono. Leggo in un contesto analogo il vissuto del mio Fondatore don Domenico Leonati, un prete padovano che ha saputo innescare un bene nascosto rimanendo nascosto. Si è preso a cuore la dignità dell’altro e, con un distacco sorprendente dalle cose materiali, ha cercato di insegnare i valori che fanno bella la vita. “L’attenzione all’altro, secondo Simone Weil, è la forma più pura della generosità”. Vissuto in un tempo di deserto economico segnato da fame, miserie e malattie, don Domenico ha colto il presagio di una possibile primavera e si è adoperato per custodire, per difendere dal gelo dell’ignoranza e dalle periferie esistenziali, fragili e povere vite di fanciulle. Si è chinato per nobilitare e riscattare a una rinascita sociale e spirituale. Ne sono usciti talenti e germogli di vita che hanno scavalcato l’onda del tempo e sono giunti fino a noi, suore salesie del ventesimo secolo. La quotidianità è stata la porta attraverso la quale è passato il Vangelo sbriciolato da don Domenico, un prete che si è perso donandosi. “Mi sono dato senza cura di me stesso, dirà”. Come seme nascosto nel terreno, egli rimane un silenzioso testimone di quegli istanti in cui l’azione umana e quella divina si sono fuse per dare origine a cose impensabili. Ha fatto tutto rimanendo nascosto. Faceva la carità con l’aiuto della mamma e di un fratello e attribuiva a loro questo gesto di compassione. Ha istituito un Conservatorio e ha affidato la cura di esso ad alcune giovani da lui stesso formate, ma lui non appare. Ha ricevuto aiuti economici e li ha indirizzati al suo Vescovo, il Cardinal Rezzonico, attribuendo a lui la continuità dell’opera che don Domenico considerava “puro dono della Provvidenza”. Da Fondatore ha voluto che le sue figlie considerassero “S. Francesco di Sales come Padre e Fondatore”. Si è ridotto in fin di vita e non ha chiesto nulla per sé, neanche il premio eterno, perché si abbandonato fiduciosamente. “Alla Santissima Trinità, alla sua infinita misericordia, ora e sempre mi abbandono”. (Dal testamento). Di questo passo si potrebbe continuare. Che cosa ci rimane di lui, cosa potremo trovare rimestando gli scarni documenti del tempo, scompigliati e distrutti dalla burrascosa soppressione napoleonica? Raccogliendo brandelli, spigoliamo un patrimonio spirituale che è presente anche nella nostra Regola di Vita e sul quale gelosamente ci misuriamo. La sua vita sembra dirci: ”Fa il bene, e lo conosca solo Dio”. Don Domenico, presenza nascosta, humus e insieme grido silenzioso, possibilità ancora possibile ci insegna a fare ciò che è necessario, ciò che è possibile e credere sempre nell’impossibile di Dio che va al di là delle nostre deboli capacità.